(alberto corsani) Sono passati dieci anni da quando è nato il sito Tuttohockey.com ed otto da quando ci sono arrivato io. Già, era l’Ottobre del 2003 ed allora redigevo i miei primi articoli sul TorinoValpe. Titubante alla richiesta di collaborazione, obiettavo al Direttore la mia quasi totale incompetenza professionale sportiva. Facevo il giornalista da anni ma in altri settori, una sola puntata l’avevo fatta a parlare di hockey in Valpellice su una rivista della valle d’Aosta. Così cercavo di proteggermi dal contagio di Tuttohockey.com dicendo che avrei anche rischiato di essere molto partigiano, come tutti quelli del cosiddetto popoloValpe.
Risposta: va bene così, anche gli altri d’altronde lo sono per le loro squadre. Alla fine accettai, tenendomi i dubbi. Che furono presto fugati: la partigianeria si poteva contenere, anzi dovendo scrivere cronache e interviste si trovava proprio un antidoto all’essere di parte. Ci si doveva sforzare di essere obiettivi: in una rivista on line le eventuali pecche di articolo troppo sbilanciato sarebbero state messe alla berlina in breve tempo.
Così, soprattutto negli anni della Serie "A2", ho interpellato giocatori, direttori sportivi, allenatori delle squadre avversarie della Valpe; sono state belle e positive conoscenze. Ma non è tutto: non ho, in questi anni, conosciuto solo le persone, ho respirato un’aria, un ambiente. Ho incontrato, negli anni in cui si "spareggiava" per non retrocedere in Serie "C", e poi via via in una stagione di "tre anni, tre finali", e poi ancora in questi due ultimi anni di Serie "A1", ho imparato a fare i conti con ogni sorta di emozione, in casa Valpe innanzitutto. Ma direi, paradossalmente, anche e soprattutto in casa d’altri: nei corridoi a fine partita, sotto il pullman che sta scaldando il motore. E soprattutto ho visto le facce: facce cariche prima e durante la partita, che diventano beate, soddisfatte o lunghe così se è andata male.
Ho visto coach medici e dirigenti uscire dopo un 1-6 (uno a sei) dallo stadio di Torre Pellice e li ho rivisti quando sono venuti a prendersi la rivincita, magari con gli interessi. La desolazione e l’entusiasmo; le birre e la pizza. Ho imparato a ritrovare quelli che erano stati nostri beniamini con addosso una casacca diversa, a parlare con gli ultras gemellati; ho imparato la distinzione dei tecnici che si intrattengono a lungo con i giornalisti, anche dopo che sono stati sconfitti. E così spero di aver imparato ad essere un tifoso forse un po’ più equilibrato; ho imparato che va bene esaltarsi e va anche bene indignarsi; ma che prima di esaltarsi e prima di indignarsi conviene valutare con attenzione se non sia il caso di scendere una fermata prima, e dire: cauto ottimismo, discreta soddisfazione oppure delusione, ma non necessariamente rabbia.
Per ogni vittoria entusiasmante c’è qualcun altro che ha perso e che un giorno vince a tue spese. Questa è la prassi di settimana in settimana, e la verità di questa prassi la vedi dietro le quinte più che in pista. In pista si materializza la trance agonistica che ottunde anche te in tribuna.
Dopo, e dopo ancora, verso mezzanotte in zona mista, quando solo i piedi freddi ti tengono sveglio, capisci che le persone sono le stesse anche se senza pattini sono un pò meno alte, anche se sono in borghese. E portano ancora a fior di pelle entusiasmo e delusioni: o forse pensano già all’indomani che per molti dei giocatori di scuola italiana vuol dire un altro lavoro.
Grazie a Tuttohockey.com per avermi dato la possibilità di capire quanto c’è dietro al match: perché quel che sta dietro insegna a capire meglio il match stesso.
E poi, alla rinfusa fra le cose viste: 700 persone al primo allenamento della Valpe, prima uscita con alla guida Alain Vogin, grande uomo; il pubblico che si entusiasma per l’allora quasi sconosciuto sledge-hockey; un diciassettenne che gioca il power play davanti porta; Rem Murray (560 partite in Nhl) che dà l’esempio a tutti i più giovani iniziando a corricchiare per defatigamento intorno alla pista dopo Valpellice – Valpusteria; Matt Cullen al vecchio Filatoio perché in vista di Torino 2006 non ci sono altri impianti in Piemonte; il grande schermo al Filatoio perché lo Stadio olimpico non basta; il portiere della nazionale che nella sera in cui l’Asiago vince a Torre Pellice salta su a dare il 5 ai ragazzini affacciati in curva; il medico che appositamente rallenta le operazioni di cucitura di un orecchio a un giocatore, in modo che finisca la partita, se no quello vorrebbe rientrare in pista; gli ultras in lacrime quando è morto il presidente Ferrando; i giocatori del Merano che la stessa sera non festeggiano la loro vittoria sul campo della Valpe e applaudono il pubblico che piange come gli ultras; il giocatore di tanti anni fa che ritorna e quando la squadra è in difficoltà e non vince più, va in panchina, e… c’è. Cose viste e cose scritte, perché Tuttohockey.com ha sempre assecondato le mie note "a margine", perché l’hockey è anche questo. Ad multos annos!