Qui Valpellice: il resoconto della stagione 2014-2015

Una stagione 2014-2015 controversa in casa Valpellice Bulldogs, partita tardi, con la composizione della squadra che aveva avuto del miracoloso. ma Fabio Armani in veste di DS aveva compiuto un’operazione del genere con il Pontebba di tre anni fa, prima di trasferirsi alla Valpe con cui ha vinto la Coppa Italia del gennaio 2013. Dunque in avvio di stagione, senza neanche una partita amichevole di pre-season, in pochi credevano che la squadra di Torre Pellice avrebbe avuto molte possibilità di dire la sua.

Invece, settimana dopo settimana, all’insegna del gioco semplice e ordinato di Jeff Pyle, la Valpellice cresceva, fino a trovarsi in vetta alla classifica, in coabitazione e poi, per una giornata, anche da sola, fatto unico, finora, nella sua lunga storia.
Poi la squadra ha pagato, anche oltremisura, alcune scelte controverse (il tesseramento di un gran difensore come Davide Nicoletti, mai arrivato in Italia) e alcuni episodi «storti»: due squalifiche e un infortunio per Luca Frigo (rischi disciplinari nel gioco duro, ma anche un gran coraggio nell’opporsi al tiro dei terzini avversari: da qui la frattura alla mano); una lunga assenza dell’uomo più esperto (insieme a Nate Di Casmirro) e nell’autunno più in forma di tutti, cioè Andre Signoretti: fatale la serata del 4 dicembre al PalaTazzoli di Torino, quando una carica di Johansson del Renon lo metteva fuori causa a pochi secondi dall’inizio; pesantissimo, per conseguenza, il carico di lavoro per il reparto difensivo, arrivato stremato alla fine dell’anno solare. E non dimenticherei una formula di campionato abbastanza indecifrabile, che ancora una volta prevede una fase intermedia non avvertita dai giocatori come indispensabile: ne conseguono partite che tendono alla rilassatezza, al ripetersi di schermaglie inutili, non al miglioramento delle soluzioni tecniche e tattiche.

Giocare con scarsità di stimoli porta chiunque all’involuzione, a ripetere i movimenti senza fantasia; questo problema, abbinato alla stanchezza, è micidiale, ancora una volta, per chiunque, porta a ripetere gli stessi errori a oltranza, in particolare proprio nella difesa, che richiederebbe sempre costanti stimoli alla concentrazione. Stesso discorso vale probabilmente per il portiere. Così, forse, si spiegano gli errori individuali, più pesanti dei limiti tattici del tecnico.
Nella fase playoff, partita male non tanto in gara -1 a Milano, ma in gara -2 a Torre Pellice (uno 0-3 senza discussioni), il gioco nelle ultime due partite è venuto fuori bene, ma era tardi: probabilmente era stato necessario assimilare bene nuovi schemi, cosa non facile a farsi in un regime di stanchezza, e questa assimilazione aveva bisogno di partite su partite.
Che cosa rimane? L’affidabilità (ritrovata) degli uomini d’età e d’esperienza (Signoretti e Di Casmirro), il sapiente lavoro in penalty killing da parte di David Brine (purtroppo arrivato tardi), il ruolo di un Silva affiancato a elementi giovani a cui dà calma e ragionamento; gli stessi ragazzi portati in prima squadra (il portiere Armand Pilon, Federico Cordin): che si dovesse partire dai giovani era l’idea ineludibile del presidente Ferrando, della cui scomparsa a fine marzo ricorre l’ottavo anniversario.

Tutti si dicono sempre d’accordo su questo ruolo del vivaio; ma spesso, troppo spesso il pubblico è assetato di “vittorie subito”, ed è pronto a prendersela con i ragazzi che a volte sbagliano (e a volte effettivamente succede). Servirebbe più pazienza da parte dei tifosi, più calma, meno attesa del risultato; più partecipazione, perché la squadra si segue sempre, anche quando non vince. I tempi sono difficili, i costi sono diversi, ma è altrettanto difficile dimenticare che per tre anni lo stadio si riempì fin dai quarti di finale di Serie “A2”.

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