Dopo avere affrontato la questione relativa alla presenza di strutture ed impianti del ghiaccio sul territorio italiano (siano essi stadi, piste coperte o scoperte) con l’auspicato interesse riscontrato da parte dei lettori e dei media (con particolare riferimento ad Andrea Gris di Radio Cortina per aver affrontato questa nostra tematica all’interno della sua trasmissione radiofonica Ghiaccio e Limone), in questa nostra seconda tappa parliamo ad ampio raggio di settore giovanile.
Perchè se la materia prima per fare è hockey è il ghiaccio, la seconda è quella di avere atleti che lo praticano. Settore giovanile che in Italia è rappresentato da quattro comitati regionali attivi da tempo (Piemonte, Lombardia, Veneto e Trentino Alto Adige) ed uno nato da poco (Friuli Venezia Giulia) che ha sostituito quello defunto della Valle d’Aosta.
Comitati regionali che si occupano dell’organizzazione delle varie attività a partire dagli under 10 e dei campionati per le categorie under 11, 13 e 15, dal momento che i campionati delle under 17 e 20 risultano a carattere nazionale e quindi direttamente sotto la casa madre Fisg. Così come il campionato di terza serie italiana, quello rappresentato dalla cosiddetta Serie "C-under 26" che però e non si sa perchè, dovrebbe essere almeno una under 23.
Perchè auspichiamo una riduzione dell’età limite per la terza serie nazionale?
Semplicemente per il fatto che il campionato di Serie "C" oltre che rappresentare la terza serie dopo la professionista "A1" e la semiprofessionistica "A2", è a tutti gli effetti il primo campionato senior over 20 ed immaginiamo che un ragazzo inteso come atleta, sappia già a questa età, i 20 anni appunto, cosa fare da grande: se l’hockeysta e quindi con la prospettiva di giocare almeno in "A2", oppure fare il discatore sul ghiaccio solo per diletto in un campionato comunque a carattere nazionale per qualche stagione oppure di giocare a livello amatoriale nelle varie Serie C regionali.
Perchè riteniamo che lo scegliere per un giovane atleta cosa fare da grande è di vitale importanza per tutto il nostro movimento hockey. Basta difatti pensare che nella attuale Serie "A2" giocano ancora dei quarantenni e che il motto "largo ai giovani" non è di facile messa in atto vista tra l’altro la ricorrente domanda "ma dove sono i giovani?"
Domanda alla quale in molti potrebbero pensare di rispondere in Serie "A2" considerando che non è certamente difficile trovare giovani nel campionato cadetto, ma che approfondendo la risposta in una maniera totalmente diversa dal pensiero comune riportando il pensiero del classico saggio di turno aggiungeremmo che: "più che per altro i giovani in Serie "A2" giocano per necessità, di regolamento". Per la serie, ai noi, colpiti ed affondati.
I giovani ed il settore giovanile dicevamo. Sapere che lo scorso campionato cadetto è stato vinto dal Vipiteno va pienamente d’accordo e di pari passo con i numerosi successi nel settore juniores, ma non solo, dei Broncos. Successo dovuto però ad uno strano sistema della gestione delle diverse risorse limitrofe, che non essendo ripetibile o clonabile in altre piazze lo rende seppur bello a livello di fascino locale, assolutamente inutile e dannoso al sistema hockey italiano. Perchè troppo spesso si cerca di puntare sulla qualità, quando non si ha nemmeno la quantità, andandola a cercare altrove, arricchendo se stessi ma impoverendo altri.
Eh già! Rieccoci al concetto della quantità di cui avevamo parlato nella prima parte di questo nostro reportage. Quale futuro con questi numeri ci domandavamo e continuiamo a farlo?
Niente numeri, niente quantità, falsa qualità, dal momento che quella creata risulta artificiale e molto spesso figlia di un doping economico.
Si doping economico. Perchè è assurdo che in Italia ci siano differenze assurde nella rata stagionale che un genitore versa nelle casse di una società per fare giocare il proprio figlio ad hockey: da un minimo di 100 €uro all’anno ad un massimo di 800 €uro, biglietti delle lotterie locali incluse. E’ normale pensare che ci siano differenze economiche tra il giocare ad hockey in città o in un paese, ma è fuori da ogni logica che questa differenza a parità di costo orario ghiaccio regolarmente pagato e non regalato/omaggiato, arrivi a toccare l’800% di differenza.
Numeri, quantità, qualità dicevamo. Come in parte già visto nella nostra prima parte di questo reportage, a livello IIHF l’Italia con 4’085 atleti juniores occupa il 14.esimo posto per numero di giocatori under 18 dietro ai 325’432 del Canada, ai 293’691 degli Usa, ai 58’257 della Russia, ai 41’104 della Svezia, ai 36’411 della Finlandia, ai 32’623 della Cekia, ai 17.817 della Germania, ai 13’709 della Svizzera, ai 9’572 della Francia, ai 6’951 del Giappone, ai 6’497 della Slovacchia, ai 5’109 dell’Austria ed ai 4’697 del Kazakhstan. Italia che comunque risulta per contro davanti ad importanti nazioni come Norvegia, Gran Bretagna, Ucraina, Danimarca, Ungheria, Lettonia, Polonia, Slovenia, e Bielorussia.
Numeri che sulla carta non sarebbero assolutamente negativi per il nostro movimento, ma che sulla base del numero di piste presenti in Italia fan dire che per l’attività del settore giovanile sono coperte solo il 66% delle piste ghiaccio con una media di 84 ragazzi per impianto.
Numero basso e comunque superiore alle sole Giappone, Slovenia, Polonia, Lettonia, Francia ed Ungheria rinchiuse nel range dei 53-83 ragazzi per pista, bassissimo se confrontato con le varie Germania, Norvegia, Lituania, Svezia, Bielorussia, Austria, Slovacchia, Finlandia, Svizzera e Cekia che ne contano mediamente 165 ovvero più del doppio con un range compreso tra i 104 ed i 220 ragazzi impegnati per singola pista. Nazioni che per altro impegnano mediamente oltre il 70% delle strutture a loro disposizione con punte sino all’80% ed al 90%. Numeri che ci riportano prepotentemente al concetto di quantità intesa questa volta come mancanza dell’attività sul ghiaccio del settore giovanile nel 34% delle strutture a nostra disposizione sul territorio italiano ed a quanto già trattato. Ovvero puntare prima ad esaurire la richiesta tra domanda ed offerta (leggi quantità) e poi puntare alla programmazione seria e mirata (leggi qualità).
Cosa fare però per migliorare quel numero 84 ragazzi di media per singola pista per portarlo almeno a 100, tanto per darci un obiettivo? Lavorare con raziocinio ed intelligenza, puntando prima sulla quantità piuttosto che sulla qualità. Come hanno fatto per esempio in quel di Sesto San Giovanni, alle porte di Milano, dove in poco più di due anni il numero di ragazzi che fanno hockey partendo da zero è arrivato a quota cinquanta! Grazie al sacrificio di dirigenti, allenatori ed accompagnatori che hanno deciso che nessuno di loro vedrà una lira, ops un euro, sin tanto che non si sarà arrivati alla quota degli appunti 100 ragazzi. Programmazione a nostro modo di vedere seria, giusta e concreta che mira principalmente alla quantità, sapendo che la qualità arriverà tranquillamente, essendo una semplice e logica conseguenza della mole del lavoro fatto.
Dopo di che si potrà anche puntare all’ingaggio (se proprio occorre) di allenatori e professionisti a tempo pieno, evitando però di esagerare come spesso accaduto nel reclutamento di personaggi da parte di alcune società che invece di vivere per l’hockey vivono di ed a scapito dell’hockey gravitando anche e magari sulle nostre spalle attraverso comitati vari ….. fine seconda ed ultima parte del reportage.